Frammenti di una Napoli misteriosa ed insolita.
Episodi e racconti legati a personaggi del passato le cui vicissitudini hanno reso i luoghi ed i percorsi attraversati ancora più preziosi ed affascinanti.
Come nel caso della leggenda (sfuggita di poco alla realtà) di Maria D’Avalos, dei posti in cui si svolsero “i fatti”, e del fantasma che sembra vaghi ancora oggi tra Piazza San Domenico e Palazzo Sansevero.
Una storia di sangue, crudele, efferata, svoltasi a Napoli nella notte del 16 ottobre 1590, che alimenta tutt’ora la fervida fantasia dei napoletani, che spesso li spinge a confondere intime suggestioni e tragiche realtà.
Nello splendido Palazzo Sansevero, nei pressi di Piazza San Domenico – collegato alla famosa Cappella Sansevero da un corridoio sospeso – viveva il Principe di Venosa Carlo Gesualdo. Musicista, madrigalista, inventore di strumenti musicali – tra i tanti l’arcilento – amico ed ospite di personaggi famosi del calibro di Torquato Tasso.
Carlo Gesualdo era innamoratissimo della sua giovane ed avvenente moglie, la cugina Maria d’Avalos d’Aragona. Una donna bellissima, osannata da musicisti e poeti, brillante, molto sensibile al fascino maschile e ben due volte vedova.
Si diceva che i precedenti mariti le fossero morti tra le braccia “per il troppo amore”.
Passionale e volitiva Maria non sapeva proprio resistere alle tentazioni e quando ad un ballo organizzato dal Vicerè di Napoli conobbe quello che poi definì “il cavaliere più bello del reame” Fabrizio Carafa di Rufo, Duca di Andria, se ne innamorò – ricambiata – perdutamente.
I due amanti noncuranti del pericolo si incontravano ovunque, persino nello stesso Palazzo Sansevero sotto gli sguardi indiscreti della servitù e dei familiari.
E fu proprio un parente ad informare il marito del tradimento e a spingerlo a ideare un piano per vendicare l’onta e riaffermare il proprio onore.
Gesualdo diede ordine di manomettere cardini e serrature delle porte dell’appartamento della moglie, per poter avere successivamente facile accesso, e finse di recarsi a caccia fuori Napoli.
I due amanti, ignari, approfittarono dell’occasione per incontrarsi, ma furono colti nel pieno della passione ed orribilmente trucidati dallo stesso Gesualdo. Qualcuno racconta che furono avvertiti di ciò che stava per accadere ma che preferirono andare incontro al loro tragico destino assieme piuttosto che separarsi.
I loro corpi furono mutilati barbaramente, sfregiati ed esposti per alcuni giorni sulle scale del palazzo, di modo che il popolo potesse avere la conferma che Gesualdo aveva agito per il meglio vendicando il suo onore ed affrancandosi dalla condizione di cui tutti ormai erano a conoscenza, quella di marito tradito.
Della sepoltura dei due amanti non si seppe più nulla, i corpi ed il doloroso ricordo dell’intera vicenda si persero nell’oblio.
Gesualdo fu assolto il giorno dopo l’apertura del processo e ritornò a Napoli una volta che le ire delle rispettive famiglie delle vittime, i D’Avalos ed i Carafa, furono placate.
Morì di morte naturale molti anni dopo, nel 1613, e venne sepolto ai piedi dell’altare di San Ignazio di Loyola nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli.
Una lapide ne riporta il nome ed una dedica decisamente singolare considerato il suo tragico passato, “Qui giace Carlo Gesualdo, uomo di integra pietà“.
Ogni napoletano che vive nel centro storico lo sa.
Girare di notte nei pressi di Piazza San Domenico non è consigliabile ai deboli di cuore.
In molti, ancora oggi, sostengono che nel percorso che va dall’Obelisco di San Domenico ed il Palazzo Sansevero al calar della sera, quando l’ultima bottega chiude i battenti e la piazza e le vie vicine si liberano dal passeggio incessante di cittadini, studenti e turisti, si intravede una donna bionda vestita di nero muoversi velocemente da un punto all’altro e dimenarsi quasi fosse disperata.
Sembra che cerchi con lo sguardo qualche “sventurato” passante.
E che poi gli si avvicini furtivamente per chiedere – talvolta con un sibilo, di rado con urlo agghiacciante – che giustizia sia fatta e che il suo corpo possa essere ricongiunto a quello dell’amato.