Il protagonista indiscusso di molte leggende napoletane.
Una figura – o forse sarebbe meglio dire una maschera – la cui storia si confonde tra mito, suggestioni e realtà.
Il buon vecchio Pulcinella, o Pulecenelle come lo chiamano i suoi conterranei partenopei.
La quintessenza della “napoletanità”, un misto di festosa allegria, e di tristezza, capace anche di pungente sarcasmo verso i potenti come di delicata tenerezza per la donna amata.
Ufficialmente la maschera di Pulcinella nasce con l’istrionico attore Fulvio Fiorillo nel 1620 e diviene progressivamente celebre grazie ad altri due interpreti, gli artisti Altavilla e Pepito.
In realtà le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
Per molti studiosi e latinisti la figura di Pulcinella trova la sua ragione di essere nelle antiche maschere delle Atellane, quando i contadini nel periodo della vendemmia si imbrattavano il viso con la feccia di vino e – resi irriconoscibili e soprattutto “alticci” – scagliavano ingiurie contro i padroni che quotidianamente li opprimevano, una sorta di rivalsa.
Pulcinella sarebbe nato ad Acerra, da Paolo Cinella, sotto il regno di Carlo D’Angiò.
Pare che il suo nome derivasse da “Puccio d’Aniello” (un contadino di Acerra), “pulce” o forse “pulcino”.
Difficile riuscire ad esserne sicuri, probabilmente Pulcinella è tutto questo assieme, una somma di tutto ciò che la tradizione ci ha tramandato.
Un berretto piramidale di lana bianca, una maschera nera dal naso aguzzo, una camicia bianca sempre troppo grande, dei pantaloni stropicciati ed una spada di legno – simbolo probabilmente della sua inoffensività – sul fianco.
Ma cosa rappresenta o interpreta Pulcinella?
E’ una maschera viva ed attuale.
E’ il grottesco del quotidiano, con il serio che si mescola al ridicolo, con la caricatura dei vizi, dei pregiudizi e dei soprusi che affannano la vita del popolo nella lotta per la sopravvivenza.
Pulcinella è sfrontato, sensuale, quasi sempre innamorato.
Truffa il prossimo, ma solo quel poco che basta per poter sopravvivere.
E’ un guazzabuglio di vizi e virtù, è il cuore umano nel quale tutti credono di saper leggere, e che invece rimane un mistero nella sua più profonda comprensione.
E’ la voce dei napoletani poveri, del “popolino” che, non osando diversamente, aveva attraverso di lui l’occasione di dire la sua contro soprusi ed angherie, ingiustizie e maltrattamenti.
E’ la voce – viva e forte – che ancora oggi attacca tutto e tutti, quello spirito mordace ed al tempo stesso ironico che sopravvive e che a fronte di un “tradimento calcistico” ha senza mezzi termini ribattezzato Gonzalo Higuain, Giudain.
Il mito di Pulecenelle nella versione più semplice e povera è sopravvissuto a Napoli grazie al “teatrino delle guarattelle”.
Un carosello ambulante portato a spalla da un attore “da strapazzo” che tenta di sbarcare il lunario e guadagnare qualche lira alle spalle del suo più glorioso antenato, portando in scena per strada “pezzi” del suo ampio e variegato repertorio.
“A bbona parola mogne, ‘a trista pogne
La buona parola produce buoni effetti, quella cattiva punge”
(Pulcinella dixit)