Il mio viaggio in Giappone, un itinerario pieno, ricco, vissuto fin troppo intensamente, mi ha lasciato un cumulo di sensazioni ed impressioni non sempre facili da decifrare.
Dopo 9 giorni non posso certo avere la presunzione di aver compreso, eppure qualcosa si è smosso.
L’approccio con una cultura totalmente diversa dalla mia, l’iniziale sorpresa, l’inevitabile curiosità, la scoperta di un mondo profondamente radicato nella tradizione eppure perfettamente inserito nelle dinamiche più tecnologiche ed avveniristiche.
Nel mezzo, loro, i Giapponesi.
Precisi all’inverosimile, educati e gentili al punto da arrivare, dietro una tua richiesta di informazioni, a mostrarti un percorso, accompagnandotici di persona se necessario, chiusi nel loro mondo e nelle loro regole, che osservano scrupolosamente.
Ai miei occhi fin troppo cerimoniosi (un dato di fatto della loro cultura, certo) eppure sempre disponibili a rivolgerti un sorriso o farsi fotografare anche in abiti tradizionali, in qualsiasi momento della loro giornata lavorativa e spirituale, in ufficio come al tempio.
Un farsi fotografare che non viene quasi mai, come sarebbe logico pensare, dal desiderio di mettersi in mostra o dalla disponibilità nel soddisfare le richieste di un turista invadente.
Un farsi fotografare che credo nasca dall’orgoglio di mostrare con estrema naturalezza, e con un pizzico di vanità forse in alcuni casi, la propria cultura e le proprie tradizioni.
Ecco, da qui in poi il mio percorso in Giappone é stato caratterizzato ed arricchito da una serie di incontri fortuiti (al di là dei luoghi e delle visite di un itinerario serratissimo) che, tra uno stentato inglese, tanta gestualità ed una infinità di sorrisi ed inchini, mi hanno regalato momenti di vita reale, un quotidiano non sempre facile da capire lo riconosco, un pezzo di Giappone che non trovi nelle guide, qualcosa che, come in ogni viaggio, puoi provare a comprendere solo mettendoti, come si suol dire, nei panni e nei discorsi di chi ti “ospita”.
Penso alle ragazze in kymono incontrate al Senso-Ji di Asakusa a Tokyo, ai loro sorrisi, alla naturalezza delle loro pose, al contrasto tra la solennità del loro abbigliamento e la gestualità tipica della loro età, quella che puoi ritrovare negli sguardi e negli atteggiamenti dei giovani di tutto il mondo.
Mi raccontano che é del tutto naturale uscire in abiti trazionali, talvolta é il governo stesso che le stimola a farlo offrendo loro gratuitamente, come incentivo, il viaggio di andata e ritorno in città. Sorridono, ammiccano, scherzano ed arrossiscono, specie se un gruppo di ragazzi passa nelle vicinanze, e poi d’improvviso tornano serie e silenziose al passaggio della processione del Drago Dorato e delle Geishe.
E poi penso ai giovani di Takeshita street, all’eccesso ed all’esplosione di colore e modernità, al contrasto, fin troppo voluto, che sfocia poi spesso nell’impersonalità.
Penso ai templi ed ai santuari, ai colori, alla devozione di giovani, anziani, bambini, ai gesti, ripetuti in sequenza, cadenzati quasi si trattasse di una melodia muta da comporre con le mani e con gli sguardi, ed alla fede, così presente eppure così impalpabile.
Penso alle scolaresche incontrate (ottobre in Giappone é periodo di gite scolastiche, così mi dicono), alle divise, rigorosamente blu navy ed ai sandali con i calzettoni bianchi, agli sguardi attenti dei bambini, alla curiosità nei confronti degli “ospiti” occidentali, alle domande ed alle interviste “sostenute” per testare (come gli suggeriscono gli insegnanti) il livello del loro inglese, con tanto di firma sul quaderno e foto di rito.
Penso ad Hiroshima, all’emozionante incontro con l’uomo degli origami certo, ma anche ai luoghi, alla semplicità di un memoriale la cui potenza evocativa lascia senza parole (creando invece scompiglio tra i pensieri), ai racconti, alle immagini, alle parole di chi ricorda e non vorrebbe, di chi guarda avanti, di chi, sebbene giovane, si impegna nella memoria, di chi inconsapevolmente tradisce un dolore ed una rabbia non ancora del tutto sopiti.
Penso ad un anziano esperto di scrittura incontrato in un negozio artigianle di Nara, alla pazienza, alla gentilezza ed alla dedizione con cui si é impegnato a ricercare i simboli giusti per riprodurre il mio nome con i caratteri giapponesi.
Penso, al mio primo Okonomiyaki (una sorta di frittata con spaghetti di soia, con pesce o carne, cotta su una piastra bollente), alla curiosità, all’impressionante abilità delle mani che lo preparano davanti ai miei occhi e alla sorpresa nello scoprire un sapore sorprendentemente familiare.
Penso ai luoghi che, come da copione, avrebbero dovuto affascinarmi e che non l’hanno fatto e a quelli che, scoperti per caso e per fortuna, mi hanno lasciata senza parole.
Penso e ripenso ad un Giappone diverso da quello che mi aspettavo, più reale e meno da sogno, meno spettacolare ma più bello, parlarne (per quel che mi riguarda) senza il rischio di cadere nell’ovvio non é poi così facile come sembrerebbe.
Mi affido alle persone, ai gesti, ai volti ed ai racconti, mi affido alle sensazioni, alle immagini impresse nel mio obiettivo, e nella mia mente.
4 Comments
Questo tuo post così delicato e pieno di sensibilità, mi convince ancora di più di quanto viaggiare possa regalare emozioni uniche ed aprirci a nuove culture. Una delle mete che mi ha sempre affascinata maggiormente è proprio il Giappone: questo paese così moderno, ma ancora fortemente ancorato alle sue tradizioni. Senz’ altro sarà uno dei miei prossimi viaggi.
Grazie Ilaria.
Calcola poi che io non sono un’amante dell’Asia, mi spiego… la mia bussola é orientata ad occidente, da sempre, lo riconosco con estrema sincerità.
Ci ho messo davvero impegno ed attenzione in Giappone, così come in Cina in passato, non volevo che il mio modo di vedere il mondo “viziasse” in qualche modo questo viaggio e devo riconoscere che la sorpresa é stata grande e vera.
Ora anche io ho un “mio” particolarissimo Giappone da ricordare e magari raccontare… a chi vorra ascoltare!!
Sai perchè seguo assiduamente il tuo blog? Perchè te racconti davvero i luoghi così come li vedi. Non é mai tutto bellissimo e perfetto, nei tuoi racconti é tutto più vero.
Grazie x questo, da una che viaggi così non potrà mai farli e che sogna seguendo i tuoi.
Anna
Wow Anna che complimento!
Grazie, davvero, come si dice… io ci provo sempre a raccontare le cose che vedo, bello e brutto incluso, certo non sempre mi riesce al meglio, ma ci provo!!