Un viaggio negli Stati Uniti, infinite possibilità di scelta.
Quando mi si chiede dell’origine dei miei itinerari – bizzarri e troppo particolari per alcuni, insoliti ed originali per altri – rispondo senza esitazione che é tutta una questione di passione, di istinto, di storie ed incontri.
Ci avete mai pensato?
Non necessariamente sempre e solo una strada famosa da percorrere, un mito da inseguire o uno spettacolare scenario naturale da vivere e fotografare, a volte basta molto meno.
Nel mio caso un libro, una vicenda d’attualità, un articolo letto di sfuggita, un film cult, una foto spuntata per caso da chissà dove o – cosa che mi capita sempre più di frequente – un racconto, scovato per caso o per fortuna, tra i tanti legati nei modi più incredibili ai grandi avvenimenti ed ai grandi personaggi del passato.
Stavolta voglio raccontarvi di tre storie realmente accadute, tre storie differenti legate ad un epoca – quella del movimento per i Diritti Civili nell’America degli anni ’50 e ’60 – segnata dal coraggio e dai grandi cambiamenti, svoltesi a distanza di pochi anni in tre diversi Stati del Sud, la Louisiana, l’Alabama e la Virginia.
Storie che per motivi differenti (celebrazioni ed anniversari particolari) sono tornate agli onori della cronaca negli ultimi mesi risvegliando il ricordo di un’epoca difficile, raccontata nei suoi momenti clou da centinaia di libri, film e illustrazioni, e di alcuni luoghi specifici ad essa inevitabilmente collegati.
Due le conoscevo già, non nascondo che il programma del nuovo (ormai prossimo) viaggio negli Stati Uniti del Sud ne é stato sensibilmente influenzato, la terza (di cui sono venuta a conoscenza grazie ad un articolo di Giovanni Morandi sul Resto del Carlino) é stata una vera scoperta che mi ha spinta ad approfondire l’intera vicenda, alimentando la curiosità ed il desiderio di tornare presto in Virginia.
Esiste un’immagine, forse sarebbe meglio dire un quadro, in grado di raccontare l’intera vicenda di Ruby con una potenza evocativa talmente forte da rendere difficile l’uso di qualsiasi parola dopo, si tratta di The Problem We All Live With (1963), dipinto da uno dei più noti ed apprezzati illustratori americani del ‘900, Norman Rockwell.
Un fermo immagine di uno dei momenti più significativi legati al movimento per l’integrazione razziale degli anni ’60.
Ruby Bridges é una bambina di 6 anni che nel 1960, dopo aver superato il difficile esame d’ammissione (studiato di proposito per ostacolare l’accesso agli studenti di colore), supportata dalla sua coraggiosa mamma Lucille, sfida un mondo di pregiudizi e odio entrando come prima scolara afro-americana – scortata da quattro U.S Marshall, la guardia speciale fornitagli da un’altrettanto determinato Presidente Dwight Eisenhower – alla William Frantz Elementary School di New Orleans, una scuola frequentata da soli bambini bianchi.
Ruby sfila imperturbabile davanti ad una folla inferocita, ricorderà in seguito “in realtà ho pensato che fosse Martedì Grasso. C’era una grande folla di persone al di fuori della scuola. Stavano gettando le cose e gridavano, quelle cose che di solito capitano durante il Mardi Gras”, suscitando l’ammirazione degli stessi agenti di scorta che parleranno poi di lei come di “una bambina molto coraggiosa che non ha mai pianto né piagnucolato.”
Grazie all’aiuto della maestra Barbara Henry, una progressista del Massachusetts, ed al supporto della compagna di classe Pam Testroet che pochi giorni dopo compie il gesto simbolico di prenderla per mano ed accompagnarla in classe, Ruby nel giro di un anno con non poche difficoltà vince la sua battaglia ed apre la strada ad altre bambine e bambini come lei.
Dal 2014 nel cortile della William Frantz Elementary School (la scuola che é ancora in attività si trova al 3811 di Galvez St. a New Orleans) c’é una statua che ricorda a tutti gli alunni ed ai loro genitori, la piccola grande battaglia di Ruby e della sua famiglia.
Oggi Ruby Bridges é una distinta signora di 66 anni molto attiva nel campo dei Diritti Civili. Nel 2011 é stata invitata dal Presidente Barack Obama alla Casa Bianca (dopo aver ricevuto in precedenza un importante riconoscimento da Bill Clinton) per parlare della sua vicenda davanti al famoso quadro di Norman Rockwell.
Sembra che il Presidente l’abbia ringraziata, visibilmente commosso, sostenendo che “se non fosse stato per voi ragazzi di allora, per ciò che avete vissuto sulla vostra pelle, io non potrei essere qui adesso… qui alla Casa Bianca“.
Il 19 febbraio del 2016 nella piccola cittadina di Monroeville, in Alabama, si é spenta all’età di 89 una delle scrittrici più apprezzate ed amate degli Stati Uniti, Harper Lee.
Autrice (oltre a diversi racconti brevi e libri) de Il Buio oltre la siepe, To kill a mockingbird in lingua originale, un delicato ed intenso romanzo denuncia – grazie al quale vinse il Premio Pulitzer nel 1961 – ambientato in Alabama ai tempi della segregazione razziale.
Romanzo che ha venduto più di 35 milioni di copie in tutto il mondo, e che é stato trasformato poi in un film di grande successo, vincitore di ben 3 Premi Oscar, con Gregory Peck.
La storia (fortemente autobiografica) racconta di Atticus Finch, avvocato bianco, e della difesa di Tom Robinson, un bracciante nero ingiustamente accusato di stupro.
Nel mezzo un odio razziale incontrollato che non permette di vedere oltre la siepe ed al tempo stesso il senso di giustizia e libertà che cresce con la piccola Scout, la figlia di Atticus, voce narrante, da adulta, dell’intera vicenda.
Una vita semplice quella di Harper Lee trascorsa, fatta eccezione per la breve parentesi newyorkese e per i viaggi al seguito di Truman Capote, nella piccola Monroeville – oggi designata ufficialmente Capitale Letteraria dell’Alabama – protetta dall’eccessivo interesse dei fan e dalla morbosa curiosità sviluppatasi negli anni su di lei e sulla sua attività letteraria.
Monroeville é oggi un luogo forse ancora più speciale, da inserire, anche solo per un breve stop, come tappa in un viaggio negli stati Uniti del Sud, non solo per la possibilità di rendere omaggio al sepolcro della scrittrice ma anche per rivivere (tra aprile e maggio i cittadini mettono in scena un’intensa rappresentazione de Il Buio oltre la siepe) ed esplorare fisicamente i luoghi e l’atmosfera – non molto é cambiato in città nel corso degli anni – del suo romanzo più famoso.
Mildred e Richard sono due semplici ragazzi (18 anni lei e 24 lui) che si incontrano e si innamorano – sullo sfondo la provincia bigotta e segregazionista della Virginia di fine anni ’50 – e che, dopo aver scoperto di aspettare un bambino, decidono di sposarsi.
Nulla di strano se non fosse per il fatto che Mildred é una ragazza nera e Richard un bianco. Per loro la cosa non riveste alcuna importanza, ma per lo stato della Virginia la questione é decisamente più complessa, essendo ancora fortemente osteggiate le cosiddette unioni “miste”.
La storia di Mildred e Richard Living é fatta di coraggio e determinazione.
La fuga ed il matrimonio a Washington ed una serie di processi civili a loro carico una volta rientrati in Virginia “… dica alla Corte che amo mia moglie ed é ingiusto che io non possa vivere con lei in Virginia“, queste le parole di Richard Loving al suo avvocato, Bernard Cohen.
Poi la dichiarazione di colpevolezza ed il confino nel District of Columbia, ma Mildred e Richard non si arrendono e finalmente nel 1967 arriva la sentenza definitiva della Corte Suprema degli Stati Uniti che nella persona del giudice Warren stabilisce che “il matrimonio é uno dei diritti fondamentali dell’uomo e la libertà di sposare o meno una persona di un’altra razza risiede nell’individuo e non può essere violata dallo stato.”
Mildred e Richard tornano a Central Point – la loro casa è ancora lì oggi – mettono al mondo altri due figli e, senza tralasciare mai l’impegno per i Diritti Civili, riprendono la loro vita di tutti i giorni evitando i clamori suscitati dalla loro vicenda ed occupandosi esclusivamente della loro famiglia.
Oggi la loro storia diventa un film (di prossima uscita),“Loving” di Jeff Nichols, girato proprio in Virginia, nei luoghi di Mildred e Richard.