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Visitare Ellis Island è estremamente semplice.
Il web ormai è pieno di consigli e suggerimenti dettagliati su come organizzare e gestire al meglio il percorso, che si effettua nell’arco di una mezza giornata e che di solito viene associato alla visita della vicina Liberty Island, l’isolotto su cui si trova la Statua della Libertà.
Sul sito ufficiale della Statue Cruises – la compagnia di traghetti che gestisce il tragitto – è possibile scegliere, in base ai propri interessi, diverse tipologie di tour. Ricordate che quello standard che comprende Ellis e Liberty Island è già incluso nel New York City Pass.
Il difficile in realtà è riuscire ad arrivare preparati ad un’esperienza del genere.
Visitare Ellis Island vuol dire intraprendere un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo.
Un viaggio a tratti duro ed emotivamente complesso nella storia e nei momenti più difficili e dolorosi delle vite di circa 12 milioni di immigrati provenienti per lo più dalla vecchia Europa, che a partire dal 1892 fino al 1954 – dopo traversate oceaniche al limite dell’umana sopportazione e subendo ogni tipo di umiliazione possibile – arrivarono fin qui in cerca di una vita migliore.
Un luogo della memoria, quindi.
Un contenitore di ricordi ed emozioni, di speranze e di dolori, di attese e delusioni.
Non molti sanno che Ellis Island è in realtà un isolotto artificiale.
Fu creato con il materiale di risulta degli scavi effettuati per la costruzione della metropolitana di New York, con l’intento di farne poi un arsenale militare.
Tuttavia a causa dell’incremento costante del flusso migratorio di fine ‘800 e della conseguente impossibilità da parte del Castle Garden Immigration Depot – il primo vero centro di accoglienza della città – di gestirne la mole, si scelse di smistare le navi cariche di immigrati verso Ellis Island, trasformandola in The Gate, il più grande punto di accesso agli Stati Uniti d’America per quasi 60 anni.
Dopo aver assolto anche alle funzioni di rimpatrio di dissidenti politici, criminali ed anarchici e aver “trattenuto” nel corso della Seconda Guerra Mondiale cittadini considerati “nemici” (italiani, tedeschi, giapponesi, etc.) Ellis Island venne progressivamente abbandonata e chiusa definitivamente nel 1954 per essere poi ufficialmente riaperta agli inizi degli anni ’90 come Museo dell’Immigrazione.
“Sta dritta. Scarpe pulite. E non tossire per nessun motivo.
Sii educata, mai aggressiva, non devi sembrare nervosa.
Pensa come un’americana che sa dove andare.” […]
“Benvenuta negli Stati Uniti, esca dalla porta blu prego!”
(Arrivo ad Ellis Island, cit. dal film “Brooklyn”, 2015)
La visita del Museo dell’Immigrazione di Ellis Island segue di pari passo il percorso obbligato degli immigrati appena sbarcati sull’isola che stremati dal viaggio, senza avere la possibilità di riposare, si ritrovavano ad attendere per ore in piedi nell’atrio del Main Building il loro turno per i controlli sanitari.
Superata questa prima fase raggiungevano la grande Registry Room al primo piano per attendere in un’ulteriore, infinita fila la cosiddetta “intervista” – in cui gli ispettori predisposti indagavano sulle motivazioni della richiesta d’ingresso negli USA, su eventuali precedenti penali e su possibili contatti americani a cui fare riferimento una volta arrivati in città – e la registrazione finale in cui venivano fornite tutte le generalità.
Approvato l’ingresso negli Stati Uniti d’America gli immigrati oltrepassavano la famosa “porta blu” per raggiungere l’imbarcadero e salire finalmente sul traghetto per Manhattan.
Chi non superava i controlli sanitari era costretto a “soggiornare” nelle terribili celle ai lati della Registry Room, visibili ancora oggi, e a subire ulteriori indagini ed esami il cui esito positivo imponeva l’immediato rimpatrio.
La differenza – per una comprensione più profonda e reale di un luogo come Ellis Island o come il Tenement Museum nel Lower East Side – la fanno come sempre le singole storie, rese ancor più reali dalle immagini e dai segni, di cui si viene a conoscenza una volta all’interno.
A cominciare dalle gigantografie in bianco e nero di quei volti smarriti che accompagnano il visitatore lungo i percorsi espositivi permanenti immediatamente alle spalle dell’imponente ed evocativa Registry Room fino ad arrivare al secondo piano nell’atrio antistante la Special Inquiries Division, le stanze occupate da una speciale commissione d’inchiesta che aveva il compito di esaminare nel dettaglio i casi di espulsione.
Ed è proprio qui, tra le colonne del passaggio che conduce agli uffici della Commissione, che il passato torna a prendere vita attraverso un’impressionante sequenza di graffiti.
Per lo più disegni approssimativi, scarabocchi, date di arrivo, caricature di odiosi funzionari, vignette satiriche disegnate dagli immigrati in attesa di conoscere la loro sorte, indispettiti probabilmente dall’incertezza, sfiancati dalla stanchezza o semplicemente desiderosi di lasciare un segno del loro breve passaggio in America.
“Cecchini Giuseppe. Venuto alla Batteria il giorno 18 maggio di sabato 1901”
(Graffiti Columns – Ellis Island)
Un fermo immagine impressionante che più di tante parole riesce a rendere in un solo istante tutta l’angoscia, le difficoltà ed il dramma di intere generazioni di uomini e donne disposti a qualsiasi sacrificio pur di avere la possibilità di raggiungere la tanto desiderata terra delle opportunità, gli Stati Uniti d’America.
Dal sito ufficiale della Statue of Liberty and Ellis Island Foundation è possibile accedere all’archivio on line che permette di rintracciare una buona parte dei nomi dei 12 milioni di immigrati che sono transitati sull’isola nel corso del tempo.
E’ sufficiente registrarsi ed iniziare la ricerca per riuscire a recuperare nominativi, date di arrivo, porti di provenienza, navi su cui si è effettuata la traversata ed età.
Un metodo efficace per riuscire a recuperare informazioni in merito ad avi o parenti le cui tracce si son perse nelle pagine del tempo, per seguirne il percorso e magari arrivare grazie ad ulteriori ricerche – chissà – ad individuarne la discendenza fino ai giorni nostri.
2 Comments
Mi piacciono i Musei che escono dagli schemi della museografia tradizionale e raccontano storie, talvolta sono toccanti come questo di Ellis Island da tempo sulla mia lista dei musei da non perdere ma che per una ragione o l’altra continua a sfuggirmi. Grazie dunque per questo bel reportage, con la tua sensibilità, mi pare di averlo visitato un po’ anch’io.
Grazie a te Roberta e grazie anche di essere passata di qui!