Pensieri e riflessioni dalla “mia” ennesima, insolita New York. Parole ed emozioni per raccontare la città, la sua essenza, le sue persone e le loro storie.
New York è un sentimento.
Un continuo mutevole stato d’animo che pulsa attraverso una moltitudine incessante e variegata di persone di cui non sempre si riesce, nonostante i ripetuti “ritorni”, a comprendere l’essenza e le interazioni più profonde.
Credo (forse perchè per me in primis é così) sia una delle cose che attragga di più di questa città, la curiosità, la tentazione di perdersi e ritrovarsi nella sua complessa multiculturalità e l’inevitabile desiderio di intuirne le dinamiche per avere, anche solo per poco tempo, la possibilità di riuscire a far parte in qualche modo di quel magnetico, accattivante, unico flusso infinito.
Da qui nasce la mia più sincera e profonda esigenza di vivere (e di raccontarvi di conseguenza), oltre naturalmente alle locations ed ai siti turistici più famosi, la “mia” insolita New York e la sua parte più concreta e sincera fatta di incontri speciali, di persone vere e di storie, tante, tantissime storie.
Così anche stavolta, inevitabilmente, le mie lunghe giornate (e nottate) newyorkesi sono scivolate via tra visite programmate e scoperte emozionanti, tra discorsi impegnati e ragionamenti semiseri con vecchi e nuovi amici newyorkesi.
Tra lunghe passeggiate nei luoghi più impensati, piacevoli soste impreviste e l’improvviso ritrovarsi a parlare di arte, cultura e cinema per ore con perfetti sconosciuti all’interno di un museo del Queens.
Questa volta porto a casa con me la gentilezza, i sorrisi e la storia di Merita, la titolare di un negozio di antichità ad Astoria in cui mi sono imbattuta per puro caso (complice la mia passione per l’antiquariato), immigrata albanese sposata con un greco, e del suo grande sogno realizzato, quello di ruscire a metter su una piccola attività in America, magari proprio a New York, per permettere ai propri figli di vivere in un luogo sicuro e studiare nei migliori college della città.
E le parole di gratitudine e speranza di Nacho, un passato non facile in una zona poverissima del sud-est asiatico, il problematico arrivo a New York ed i numerosi sacrifici fatti per aprire un vivace e frequentato negozio di souvenir sulla 5th Ave.
Lui ci tiene a ribadire di sentirsi americano, come tutti quelli che, aggiunge, provenienti da paesi e zone difficili del mondo, trovano qui la loro opportunità.
Conosco Nacho da un pò, passo spesso nel suo shop per comprare qualche regalino, è una brava persona, gentile e onesta e mi accoglie sempre col sorriso sulle labbra, ma mai come in questa occasione si é aperto raccontandomi di sè e della sua storia, forse spronato dalle mie domande o dalla voglia di mostrare con orgoglio il suo percorso.
Non posso fare a meno di pensare poi al suono graffiante di una delle voci più belle di sempre, quella di Louis Armstrong “incontrato” nella sua casa privata di Corona nel Queens – oggi un museo – e “conosciuto” attraverso le parole di una guida incredibilmente emozionata e coinvolta, la scoperta dei suoi oggetti più cari (le sue mitiche trombe d’oro..) e l’ascolto di alcune sue incredibili performance canore.
Un meraviglioso piccolo grande uomo venuto fuori con caparbietà e determinazione da quel magnetico flusso infinito a cui accennavo prima.
Partito dal nulla ed arrivato ad una fama planetaria, ha sempre mantenuto uno stretto legame con le sue origini e la sua realtà, aiutando e supportando incessantemente i bambini e le persone bisognose del suo quartiere.
Una persona buona, estremamente semplice, solare ed allegra, non immaginereste mai gli aneddoti e gli episodi esilaranti del suo privato, confesso di esserne rimasta affascinata e di aver provato, a fine visita, il rimpianto di non averlo conosciuto dal vivo.
Lui per me sarà sempre il sorriso e la voce più contagiosa del mondo.
E poi sono arrivati i pensieri, le riflessioni e le emozioni più profonde ed improvvise di un tardo pomeriggio di inizio autunno trascorso sul “tetto” di Manhattan, il One World Observatory della Freedom Tower.
E subito dopo le parole scritte di getto in un post sulla mia pagina facebook.
Non credo che, adesso a mente fredda, riuscirei a rendere meglio l’idea di quel particolare momento.
“L’impatto è stato forte, lo confesso. Così come il groppo alla gola una volta in cima.
Spesso le emozioni improvvise peccano di parole ma abbondano di pensieri.
Ecco, oggi è andata più o meno così.
Salire sul One World Observatory per me ha voluto dire molto di più di una spettacolare vista su Manhattan e di una serie infinita di “wow” ad ogni finestra che si apriva sull’orizzonte.
È la consapevolezza ed il risultato della forza di volontà che vince la paura, della speranza che allevia il dolore, della vita che meravigliosa continua nonostante tutto e di una promessa finalmente mantenuta.
Non so se sia dovuto al particolare legame che ho con questo luogo e con “quel giorno” ma oggi lassù, persa tra nuvole, punte di grattacieli e spazio senza limiti, non ho potuto fare a meno di pensarci”.
Nel mezzo poi ci sono state le zucche per strada, segno dell’ormai prossimo Halloween, il miglior cibo messicano del Queens, i murales di Dalì e Warhol, le botteghe di Williamsburg, i tetti illuminati di Manhattan e l’innovativo progetto di street art di Wellington Court.
Luoghi e itinerari di cui racconterò presto e nei dettagli sulle pagine virtuali di questo blog.
New York é davvero un immenso, improvviso sentimento.
Ti afferra in un attimo e non ti lascia più. Ed anche quando credi si sia affievolito a causa del tempo o della lontananza, lui torna a farsi vivo improvviso, magari quando meno te lo aspetti, dietro un’immagine, una sensazione, una parola, un sapore, un profumo, il ricordo di un volto o di un sorriso.
Ed allora non puoi più fare a meno di ritornare, o quanto meno di provarci.