In Inglese
“Ci siamo detti che non c’era una casa migliore della zattera, dopo tutto.
Tutti gli altri posti sono così stretti e chiusi, ma la zattera no.
Sulla zattera ti senti libero, tranquillo e felice”
(Huckleberry Finn, Mark Twain)
Scrivere della “mia” America non é sempre cosa facile.
Molto spesso, al di là dei racconti, dei consigli di viaggio e delle informazioni pratiche, entrano inevitabilmente in gioco emozioni e sensazioni senza le quali mi sarebbe davvero impossibile rendere il senso completo (se mi leggete da un po’ avrete intuito a cosa mi riferisco) di un itinerario o di una semplice destinazione.
La mia America si nutre di passioni, di strade diverse e di persone incontrate lungo il cammino.
E’ fatta di luoghi ed uomini speciali, di idee, di un grande e vecchio fiume che scorre lento portando con sé le memorie di un mondo lontano, e di libri consumati dall’uso.
Così accanto ai paesaggi struggenti di alcuni dei parchi naturalistici più belli al mondo, alla scoperta delle grandi città ed ai chilometri macinati on the road inseguendo miti e locations del vecchio sogno americano, mi ritrovo ogni volta, complice la curiosità e l’emozione a cui accennavo prima, a scoprire e raccontare aspetti di un paese che, nonostante i viaggi e gli anni trascorsi, non riesce proprio a smettere di stupirmi.
Non posso non ripensare alle tappe del mio ultimo viaggio nel sud del New England, alla mia attesissima visita del The Mark Twain House & Museum, ad Hartford in Connecticut.
Allo stupore nel ritrovarmi imprevedibilmente commossa davanti allo scrittoio su cui sono nati i personaggi protagonisti indiscussi della mia infanzia, Huckleberry Finn e Tom Sawyer, e stupita davanti a quello del vicino Harriet Beecher Stowe Center, che diede vita a “La Capanna dello zio Tom“, la prima coraggiosa denuncia pubblica (arrivata da una altrettanto coraggiosa donna) contro lo schiavismo.
Perché decidere di visitare questi luoghi, oltre agli scenari da favola in cui sono inseriti, mi chiederete.
Rispondo con una semplice domanda.
Chi di voi non ha mai sognato, almeno per una volta, magari dopo aver letto anche solo qualche brano dei loro rispettivi romanzi, di rivivere le avventure di “Tom e Huck”, di navigare sul Mississippi a bordo della zattera di Huckleberry Finn, di dipingere uno steccato in compagnia di Tom Sawyer o di offrire, paladini della libertà in un mondo fatto ancora di pregiudizi e schiavitù, un rifugio sicuro al povero “zio Tom”?
Le due case-museo, poste per caso proprio una di fronte all’altra, raccontano tanto dei loro rispettivi proprietari, Mark Twain ed Harriet Beecher Stowe, e del loro profondo legame di amicizia e stima.
Narratori, ognuno a modo proprio, di una parte fondamentale della storia americana ed abolizionisti convinti, combatterono le loro battaglie contro la schiavitù a colpi di calamaio e parole pungenti riuscendo a sollevare attenzione e polemica su un tema ancora poco dibattuto.
Il complesso museale (da non perdere nella top list del cosa vedere ad Hartford) si trova immediatamente ad ovest del centro, al 351 di Farmington Ave, in una delle zone più antiche della città, a breve distanza dalla Connecticut Historical Society.
E’ possibile acquistare un biglietto cumulativo per visitare entrambe le dimore ed il museo, usufruendo di utilissime ed approfondite visite guidate.
Una pittoresca dimora vittoriana di ispirazione gotica che nella bizzarra struttura esterna ricorda (volutamente, secondo alcuni) quei tradizionali battelli a vapore che solcavano il Mississippi a metà dell’800 tanto amati da Twain, proprio quelli su cui aveva trascorso una breve ma decisiva parte della sua vita.
Entrare in quella casa, dove Mark visse i 17 anni più felici e produttivi, sia da un punto di vista familiare che letterario, é un po’ come irrompere nel suo quotidiano e sbirciare dal buco della serratura per scoprire le mille sfumature di uno degli uomini più originali che la storia americana ricordi.
Kimberly Stokes Beal, la responsabile del turismo della casa-museo, mi regala aneddoti, spunti e racconti sorprendenti.
Gli interni sono insoliti, talvolta appariscenti ed inquietanti, eppure tutto nella sua logica sembra avere un ordine ben preciso, voluto, come se i membri della famiglia di Mark fossero ancora lì pronti a sbucare fuori da un momento all’altro incuriositi dal continuo viavai dei gruppi turistici e a dileguarsi con la stessa velocità verso la grande scala in legno al centro dell’ingresso.
La sala da pranzo, le lampade Tiffany realizzate appositamente per la dimora, la luminosa veranda che funge quasi da punto luce alla splendida biblioteca con il caminetto in legno intagliato, le camere del piano superiore (tra cui quella appartenuta allo stesso Twain) e la sala biliardo, probabilmente il luogo più emozionante della casa.
Kimberly mi mostra nell’angolo in fondo alla sala, oltre il grande biliardo, un piccolo scrittoio in mogano ricoperto di fogli ingialliti dal tempo fermati a caso da un pesante calamaio e poi sorridendo aggiunge..
“Ecco l’angolo in cui Samuel Clemens (il vero nome di Mark) diventava Mark Twain
per dare vita, pensiero e voce ai suoi personaggi.
Eh si, anche ai tuoi amati Huckleberry Finn e Tom Sawyer”
L’immensa emozione e le sensazioni che ne sono scaturite le trovate qui tra queste righe o forse meglio ancora nella foto sotto, scattata nel momento successivo.
“Dunque, é lei la piccola donna che ha scritto il libro che provocato questa grande guerra”
(Abramo Lincoln)
Sembra furono queste le parole pronunciate dal Presidente Abramo Lincoln durante l’incontro con Miss Stowe, l’autrice del famosissimo Uncle Tom’s Cabin, La Capanna dello Zio Tom.
Il romanzo-denuncia contro la schiavitù che, attraverso il racconto delle tristi e deplorevoli vicende dello schiavo Tom, scosse l’opinione pubblica al punto da far insorgere nello stesso Lincoln (così dicono) la volontà di compiere ogni sforzo possibile per abolirla, come il ricorso alla sanguinosa Guerra di Secessione, quella raccontata nelle pagine di un altro emozionante romanzo storico, Via col Vento.
La dimora, anch’essa di tipica fattura ottocentesca, racconta la vita quotidiana di una straordinaria, normalissima, piccola ma coraggiosa donna.
La visita guidata non si limita a mostrarne le stanze e gli oggetti (é possibile visionare diverse prime edizioni in lingue originali, tra cui quella italiana del 1852), stimola i visitatori alla partecipazione ed all’interazione sul tema della schiavitù e dell’intolleranza razziale, creando un parallelo tra i tempi in cui la Stowe scrisse il romanzo e quelli attuali, civilissimi certo e pure ancora “difficili”, facilitando la riflessione sulla sconcertante attualità dell’argomento.
“Ah, come sono vere le grandi, le eterne parole:
Non potrà conservarsi libera nessuna nazione in cui la libertà è un privilegio e non un principio”
(Harriet Beecher Stowe, Prefazione a La Capanna dello Zio Tom)
2 Comments
La foto dove ti tieni la pancia la dice tutta 😀 La casa di Twain è splendida!!! Farebbe proprio al caso mio 😛
La casa è un mix di luighi inquietanti e ambienti gotici di fine ‘800. Ci si potrebbero tranquillamente girare film e serie d’epoca…
L’emozione dello scrittoio invece… non ha prezzo!!