Campi di concentramento giapponesi in USA: visitare l’Heart Mountain WWII Japanese American, in Wyoming, per scoprire una storia “dimenticata” o forse ancora poco conosciuta, verificatasi dopo l’attacco di Pearl Harbor del dicembre del 1941. Il racconto, i luoghi, le riflessioni e tutte le informazioni per la visita.
“Nessuno potrà essere.. privato della vita, della libertà o della proprietà, senza un giusto processo legale.”
(Quinto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America)
Gli Stati Uniti sono un paese immenso, ricco di luoghi, percorsi, personaggi ed avvenimenti storici e, come tutti gli altri paesi al mondo, capace di atti di grande bellezza ed onore ed al tempo stesso di immensi orrori, ma anche capace di mettersi in discussione sui temi più complessi e controversi del suo passato, affinché possano trasformarsi in insegnamento e monito per le generazioni future.
Ritengo sia fondamentale viaggiare anche attraverso i luoghi segnati dagli eventi più difficili per scoprire e rivivere momenti storici “dimenticati”, provare a comprenderne cause ed effetti, e raccontarne senza filtri e senza preconcetti al fine di sensibilizzare l’attenzione dei viaggiatori più attenti ed appassionati affinché il viaggio stesso diventi un’ulteriore occasione di “crescita”.
E partendo proprio da questo presupposto che voglio iniziare a raccontarvi della storia vera, ancora troppo poco conosciuta, dei campi di concentramento giapponesi in USA e nello specifico di uno di questi, l’Heart Mountain WWII Japanese American, nei pressi di Cody, in Wyoming.
Nel febbraio del 1942, in seguito all’attacco giapponese di Pearl Harbor del dicembre del 1941, che determinò l’entrata degli USA nel secondo conflitto mondiale, il Presidente Roosevelt firmò l’ordine esecutivo 9066 secondo il quale tutto gli immigrati giapponesi sulla West Coast, oltre a quelli di prima generazione (giapponesi-americani), e poco dopo anche seconde e terze generazioni, dovevano essere prelevati, espropriati dei propri beni e “ricollocati” in campi creati appositamente per loro, per la “comune sicurezza dei cittadini americani.”
Veri e propri campi di concentramento che rimasero in funzione dal 1942 al 1944, si calcola che circa 100.000 giapponesi vi furono internati vivendo in condizioni precarie ed in ambienti angusti. Alla chiusura dei campi, come se nulla fosse successo, furono liberati, ma non avendo più nulla e continuando ad essere additati da buona parte degli americani come ostili e nemici della nazione, per loro ricominciare non fu per nulla facile.
Dopo decenni di silenzio, solo a partire dagli anni ’70 con il Presidente Gerald Ford prima e con il Presidente Jimmy Carter poi ci fu una parziale ammissione degli errori commessi e dell’incostituzionalità dell’ordine esecutivo 9066. Ma solo nel 1988, con un provvedimento firmato dal Congresso e dal Presidente Ronald Reagan gli Stati Uniti d’America si scusarono con tutti i Giapponesi Americani discendenti degli internati, versando loro un progressivo indennizzo pari quasi a 2 miliardi di dollari ed ammettendo che che le azioni e le decisioni del governo dell’epoca si basarono su “pregiudizi razziali, isteria della guerra, e mancanza di leadership politica”.
Oggi molti di questi “campi di ricollocamento”, chiamiamoli così, sono stati trasformati in musei ed Interpretive Center, ovvero in luoghi in cui mantenere viva la memoria di ciò che accadde, nella speranza che fungano, come già sottolineato, da insegnamento e monito per le generazioni future.
La visita dell’Heart Mountain WWII Japanese American, inizia dal suo Interpretive Center e dal museo che si sviluppa in più sale dove vengono messi in evidenza l’intera storia dei campi di concentramento giapponesi in USA e gli elementi reali che portarono il Governo USA ad emanare l’ordine esecutivo 9066.
Non solo quindi un’isteria collettiva generata dall’improvviso e devastante attacco giapponese di Pearl Harbor il 7 dicembre del 1941, quello che il Presidente Roosevelt definì il “giorno dell’infamia” e che decretò poi l’entrata degli americani nel secondo conflitto mondiale, ma anche il tentativo di colpire la produttiva e “troppo ingombrante” comunità giapponese-americana della West Coast USA.
L’esperienza prosegue con la visita di una delle baracche anguste in cui venivamo raccolti fino a 6 nuclei familiari, privati dei loro beni, costretti a convivere e a lavorare duramente per mettere assieme pranzo e cena, in un ambiente per molti versi ostile, anche se ci furono diversi episodi in cui membri della popolazione locale contrari alle scelte del Governo sostennero con alimenti, medicine e generi di prima di necessità gli internati.
Il racconto all’interno della baracca è narrato da una guida Crow, la comunità nativa che in origine popolava quest’area, poi costretta nelle riserve molto prima dell’arrivo dei Giapponesi.
E’ singolare la riflessione di una nipote di un nativo locale che mi ha personalmente raccontato che i suoi nonni, confinati nelle riserve all’aperto, senza alcun riparo per la notte e poco cibo per sfamarsi, ritenessero i giapponesi-americani prigionieri all’Heart Mountain fortunati ad avere almeno un tetto sulle loro teste e del cibo a disposizione.
Il resto dell’esperienza è ancor più difficile, si gira in auto in questo meraviglioso (da un punto di vista scenografico) frammento di Wyoming, situato realmente nel mezzo del nulla, per poi raggiungere il memoriale e le altre baracche, e ci si rende conto di quanto dovessero essere davvero precarie le condizioni di vita di queste persone, inverni gelidi, estati torride, impossibilitati a comunicare con l’esterno e a mantenere contatti con le loro comunità di provenienza.
Nel corso della mia visita guidata ho avuto la fortuna essere accompagnata da Aura Sunada Newlin, oggi orgogliosa e libera cittadina americana di origini giapponesi (ci ha tenuto lei stessa a sottolineare questo aspetto), erede di quarta generazione di una famiglia internata in questo campo, che ha scelto di fare questo lavoro in onore e memoria dei suoi amatissimi nonni, oltre ad aver avuto la possibilità di conoscere altri eredi di seconda e terza generazione giunti qui per commemorare l’epopea delle loro famiglie originarie.
Un’esperienza, poco più di due ore il tour completo ed il tutto a meno di un’ora d’auto da Cody, così intensa, arricchente, commovente e piena di speranza che da sola meriterebbe un viaggio in Wyoming e più in generale nel Great American West.
L’Heart Mountain WWII Japanese American si trova al 1539 Rd 19, a Powell, WY ed è aperto tutti i giorni, dalle 10 alle 17 in primavera e in estate, e dal mercoledì al sabato in autunno e in inverno. Su prenotazione è possibile organizzare visite per piccoli e grandi gruppi anche nei giorni di chiusura.
Il sito si trova a 45 minuti d’auto da Cody, ed è facilmente raggiungibile.
Per rendere la vostra visita ancor più intensa ed emozionante fermatevi nell’Interpretive Center a parlare con le guide presenti, e se avete più tempo a disposizione prenotate un tour guidato privato, magari proprio con Aura, vi garantisco che non ve ne pentirete. Maggiori info a riguardo, qui.
Per ulteriori dettagli in merito all’Heart Mountain WWII Japanese American ed a cosa vedere e fare nei dintorni vi invito a consultare i siti ufficiali, sempre aggiornati con tutti gli eventi e le novità stagione per stagione, di Travel Wyoming e del Great American West Italia.
Esperienza effettuata ed articolo scritto in collaborazione con Heart Mountain WWII Japanese American, Travel Wyoming e Great American West.