C’è la Napoli che tutti conoscono – Vesuvio, sfogliatelle, babà e luoghi comuni inclusi – e poi una Napoli insolita, differente, unica ed a tratti magica, che si nutre (e per certi versi sopravvive) di storie, leggende e tradizioni.
E’ la Napoli del “mago” Virgilio e della Sirena Partenope, del Munaciello, dei santi e dei diavoli e di una serie infinita di aneddoti e racconti che svelano luoghi ed itinerari suggestivi che spesso, per mancanza di tempo o scarsa informazione, sfuggono ai visitatori.
Perché non pensare di visitare Napoli attraverso le sue storie, i suoi miti ed i suoi personaggi eternamente in bilico tra realtà e superstizione, mistero e suggestione?
Difficile, se non impossibile riuscire a condensare in poche righe l’immenso repertorio legato alle sue origini ed alla sua singolare evoluzione, più semplice provare a raccontarne dal principio, un pò alla volta.
“Napoli è rimasto per me un certo paese magico e misterioso
dove le vicende del mondo non camminano ma galoppano, non s’ingranano ma s’accavallano”
(Ippolito Nievo)
Napoli, città canora!
A Napoli tutti cantano, o sarebbe meglio dire cantavano quando si viveva accettando il bene ed il male con rassegnazione, fermi nella convinzione che contro l’ineluttabilità del destino fosse vano combattere.
Le continue e susseguenti dominazioni – Normanni, Svevi, Angioni, Saraceni, Spagnoli, etc. – avevano insegnato questo e chi aveva provato ad alzare la testa (vedi i Masaniello di turno) non aveva avuto nemmeno il tempo per pentirsene.
Napoli il canto ce l’ha nel sangue – nel suo DNA diremmo oggi – se è vero, come si tramanda, che la città sorse sul sepolcro di Partenope, la sirena dal canto melodioso che non essendo riuscita con la sua voce a sedare Ulisse (che si era fatto legare all’albero maestro della sua nave per poter ascoltare il suo canto ammaliatore senza cedere però al suo richiamo e gettarsi tra le onde) si era lasciata morire nelle profondità marine.
Il suo corpo, trascinato dalla corrente, finì con l’arenarsi in uno splendido golfo, dove mare e cielo sembravano congiungersi. Fu così, in quel punto che nacque la città di Partenope, divenuta poi Napoli, la città nuova.
Alle origini di Napoli, quindi, canto e amore.
Accanto alla Chiesa di Piedigrotta, in un colombario risalente al I sec a.C. la tradizione colloca da sempre il sepolcro del grande poeta latino Virgilio, l’autore dell’Eneide. Il caso vuole che accanto a lui la medesima tradizione collochi il sepolcro di un altro grande poeta italiano, Giacomo Leopardi.
Virgilio possedeva una villa sulle colline di Posillipo, un luogo profondamente amato dove trascorse buona parte della sua breve vita e dove sembra abbia composto le sue opere più famose.
Nel Medioevo si diffuse il culto del poeta, considerato una sorta di potente mago in grado di realizzare miracoli e concedere grazie. Ciò gli consentì – molto prima di San Gennaro – di fregiarsi del titolo di “Santo” (proprio lui che era pagano) Patrono di Napoli.
Pochi giorni prima della sua morte nel 19 a. C., indebolito dalla malattia e conscio della prossima fine, chiese di essere sepolto a Napoli con questo epitaffio:
“Mantova mi generò, i Calabri mi rapirono, ora per sempre mi tiene Partenope”
(Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc semper Parthenope)
Uno spiritello benigno, un pò furfantello, a tratti dispettoso.
Questo credevano i napoletani fosse o’ munaciello, in italiano piccolo monaco – nell’immaginario collettivo un bambino con una mantella scura ed un pesante cappuccio sul capo – anche se in realtà questa enigmatica figura non aveva alcuna relazione con il sacro.
Ma chi era allora o’munaciello?
Fino alla metà del secolo scorso in molti antichi palazzi del centro storico di Napoli venivano scavati dei pozzi – situati di solito nelle cantine o nei cortili interni e collegati alle antiche cisterne di epoca greca che attraversano ancora oggi il sottosuolo napoletano – che venivano poi utilizzati per le quotidiane esigenze domestiche.
Ovviamente questi pozzi erano parte di una complessa rete idrica sotterranea che per questioni igieniche doveva essere periodicamente controllata e pulita. Era il lavoro dei cosiddetti “pozzari” che muniti di cerata e cappuccio, talvolta piegati su se stessi (da qui l’iconografia del munaciello), si muovevano con agilità all’interno dei canali fin sulla superficie dei pozzi grazie a scalini scavati nella roccia e a corde.
E c’era chi approfittava della situazione per “esplorare” le case in assenza dei proprietari.
Cosa accadeva?
Nella migliore delle ipotesi si limitavano a spostare oggetti ed a trafugare piccoli valori trovati in giro e a portar via qualcosa da mangiare dalle cucine o talvolta a lasciare cibo e qualche soldo nelle case più povere. Nella peggiore sottraevano importanti cifre di denaro o seducevano compiacenti mogli in attesa dei mariti, diventando dei visitatori “affezionati” delle dimore e artefici di gravidanze “miracolose”.
Al rientro in casa i familiari accorgendosi dello spostamento o della mancanza di alcuni oggetti e non riuscendo a dare una spiegazione alla cosa finivano col credere che era stato o’ munaciello.
Un vecchio proverbio napoletano recita:
“O munaciello: a chi arricchisce e a chi appezzentisce”
(Il munaciello o arricchisce o manda in miseria)
A Mergellina, nel Largo Sermoneta, si affaccia la Chiesa di Santa Maria del Parto che – meraviglia nella meraviglia di una Napoli scrigno di tesori preziosi – conserva dietro il suo altare maggiore il sepolcro di un altro (l’ennesimo) grande poeta italiano, Jacopo Sannazaro.
La curiosità, se vogliamo chiamarla così, è la seguente.
Nella prima cappella a destra c’è un dipinto risalente al 1542, San Michele che scaccia il demonio.
Secondo la tradizione popolare nel San Michele è in realtà rappresentato il Vescovo Diomede Carafa che con non poche sofferenze era riuscito a liberarsi dai legami amorosi di una nobildonna napoletana, Vittoria D’Avalos probabilmente, ritratta nel dipinto come un diavolo… tentatore.
La donna, frivola e bella, innamoratasi perdutamente aveva irretito il “povero” Vescovo che aveva dovuto sostenere una lotta impari, ma alla fine vittoriosa, contro la sua avvenenza.
La leggenda popolare racconta che fu lo stesso Vescovo a commissionare il dipinto, ad acquistare la cappella in cui collocarlo e ad aggiungere un incisione nel retro.
“Fecit victoriam alleluia 1542 Carafa”
(Diomede Carafa)
Un piccolo assaggio, in parole, aneddoti e leggende.
La mia Napoli insolita non finisce certo qui.