New York.
Ancora una volta mi ha spiazzata, assorbendo inesorabilmente tutto il mio tempo e le mie energie, costringendomi, dietro la promessa (ampiamente mantenuta poi) di qualcosa di speciale, a ribaltare di nuovo i miei programmi di viaggio.
Non avevo mai avvertito in precedenza il bisogno così forte di immergermi nella sua quotidianità, di lasciare gli appunti in valigia, cercando almeno di tener fede agli impegni presi in precedenza, e di perdermi dietro ad un odore, un incontro o uno spunto arrivato per caso.
Sarà stato l’itinerario serrato, che tra l’altro mi sono imposta da sola, dei precedenti 20 giorni, il desiderio di sentirmi “libera” o semplicemente il bisogno di staccare la spina nel luogo (la città che più amo al mondo) e nei modi che mi sono più congeniali, l’istinto e la curiosità.
Ho conosciuto così, attraverso i colori, i soggetti e le parole di Zimad, uno street artist del Queens, la storia del riscatto di un intero quartiere.
Ipnotizzata dalla potenza evocativa dei variopinti Murales di Bushwick, una zona operaia alle porte di Williamsburg, mi sono sorpresa a riflettere, ancora una volta, sull’effetto positivo che l’arte (in tutte le sue forme) é in grado di esercitare nell’educazione e nell’evoluzione di una comunità.
Ho salito i precari e scricchiolanti gradini in legno del Tenement Museum, ho camminato all’interno dei suoi angusti locali in cerca di storie e di persone, quelle stesse persone che più di cento anni fa arrivarono in questa città in cerca di una vita migliore. Ho ascoltato con attenzione le vicissitudini ed individuato i loro visi ingialliti nelle foto d’epoca, ho percepito a tratti, brevi ed intensissimi, la disperazione ed il coraggio, la determinazione e la speranza.
Ho attraversato gli angoli più nascosti di Central Park senza una meta apparente scoprendomi poi, segno di un autunno ormai agli sgoccioli, completamente immersa nel rosso vermiglio e nel giallo caldo della sua natura rigogliosa.
Ho seguito il profumo di un babà appena sfornato ed ho ritrovato, ad Astoria nel Queens, le voci, i sapori e gli odori di un pezzetto d’Italia. Il clan dei Fortunato, un’orgogliosa famiglia di pasticceri campani trapiantati qui da quasi cinquant’anni.
Ho incrociato nei boroughs fuori Manhattan le più disparate comunità (simbolo di una multiculturalità che non ha eguali in nessuna altra parte del mondo), alcune delle quali chiuse nel proprio mondo per libera scelta, come quella ebraica degli Acdin, altre ancora aperte all’integrazione ma salde nelle loro tradizioni, come quella dei Frum, sempre ebraica, o quella, vivacissima, tibetana.
Ho attraversato le stradine ottocentesche dei vecchi edifici in mattoni rossi del South Seaport in cerca di vecchie storie, racconti di strane apparizioni e personaggi sbucati direttamente dal passato.
Mi sono fermata a contemplare, emozionata, la punta della Freedom Tower che finalmente terminata torna ad illuminare la notte scura di Lower Manhattan.
La vita continua anche qui, nonostante il ricordo, il dolore e le conseguenze di un evento che a tanti anni di distanza continua ancora a riemergere nei volti, negli occhi lucidi e nelle parole delle persone che lo hanno vissuto drammaticamente dal vivo, primi tra tutti i Firemen, i Vigili del Fuoco di New York.
Provate ad entrare in una delle loro caserme o direttamente nel New York City Fire Museum di Soho e capirete cosa intendo.
Questa volta non ci sono foto dell’Empire, di Lady Liberty, di Times Square o della 5 Ave illuminata a festa per le ormai imminenti Festività di Natale, questa volta c’é solo New York, le sue persone e la vita che scorre intensa e diversa attraverso di esse, attraverso il pulsare di una molteplicità indistinta di colori, odori, idiomi e credo.
E’ la promessa, non sempre facile da mantenere certo, di un sogno realizzato, é la Ny che amo e che mi spinge a ritornare, sempre.
14 Comments
Che belli questi tuoi resoconti!
Grazie… non e’ facile spiegare a parole certe sensazioni, ci provo 🙂
Simo, complimenti davvero, riuscire a viaggiare tanti giorni ed essere attenti ai dettagli è un conto, riuscire anche nonostante i ritmi serrati a mettersi la sera al pc e scaricare immagini, elaborare testi e…magari produrre anche qualcosa di buono è veramente difficile 🙂 ma vedo che tu ci riesci alla grande!
O mamma Monica, grazie!!
E’ che questo viaggio mi ha coinvolta in una maniera che non pensavo… e mi e’ sembrato giusto, considerato il motivo conduttore del mio blog, raccontarne qualcosa.
Ma poi ce la scriverai una guida per scoprire queste belle cose vero?
Come mi piace leggerti!!
Certo che si!!
Grazie Anna 🙂
Che bel post, che belle immagini, una serie di spunti uno dopo l’altro che mi fan voglia di indagare di scoprire qualcosa di più. Per me New York è davvero l’archetipo della città, la città totale.
Grazie Patrick.
Questa volta mi sono davvero lasciata guidare dall’istinto, ho messo via il programma che avevo preparato ed ho iniziato, metrocard alla mano, a camminare…
New York ha un’ infinità di storie da raccontare, ma non è da tutti saper ascoltare attentamente.
Le mete che hai visitato con questo world tour sono favolose. 🙂 Curiosissima di leggere i tuoi prossimi post.
A presto!
Grazie Ilaria, ne ho da scrivere e raccontare!!
Bellissimo post, con ottimi spunti di riflessione. Una città è anche, e soprattutto, ciò che si cela dietro i monumenti e i luoghi da visitare.
Esatto!!
New York e’ un caleidoscopio di culture, odori e colori che merita di essere esplorato.
Grazie
Complimenti articolo poetico! adoro NYC . Sei riuscita a descriverla in maniera diversa dal solito e mi ha appassionato molto
Grazie, il tuo commento mi fa particolarmente piacere.
Questo post l’ho scritto a NY in una notte dello scorso novembre e gli sono particolarmente affezionata…